Campo lungo. Un tunnell buio ed umido. Tubature arrugginite in alto che gocciolano su corridoi stretti pieni di muffa e liquami. In un rigagnolo colmo di melma stagnante avanza un uomo robusto e cazzuto, coperto da un armatura ancor più robusta e cazzuta. In una mano tiene una mazza da guerra. Nell'altra una torcia, unica fonte di tremolante illuminazione.
La camera segue il suo lento avanzare, come su un Dolly.
L'inquadratura si stringe sugli occhi di lui come nei PP di uno Spaghetti Western nel momento clou prima del duello. Quello in cui anche la musica si ferma e le mani tremano.
PLIC!
PLIC!
Una specie di rantolo, come il respiro di chi non respira davvero. Il respiro di una cosa coi polmoni pieni di fango. Il gorgoglio aspirato di uno Xenomorfo.
Quando l'inquadratura s'allarga, silenziosa, dietro l'uomo in armatura, si erge una gigantesca mostruosità putrefatta e scarnificata, che silenziosamente incombe su di lui, sorridendo il ghigno senza labbra di un teschio.
Stacco sulle fauci della Cosa non viva, non morta, che si schiudono al rallentatore sbavanti. Affamate.
Nero.
Silenzio.
Titolo rosso su fondo nero.
CARNE MORTA.
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